Negri. Viaggio alle radici dell’esodo

Inaugura il 18 dicembre 2015 per continuare fino al 10 gennaio 2016 la personale fotografica del giornalista e fotoreporter piacentino Andrea Pasquali nei saloni di Palazzo Gotico, a Piacenza. La mostra, voluta e patrocinata dal Comune di Piacenza, racconta con immagini particolarmente suggestive il viaggio nella regione del Tigrè  o Tigray (tra Etiopia ed Eritrea) che l’autore ha intrapreso nel luglio 2015 con il collega Massimo Paradiso della BBC.

Negri di Andrea Pasquali«Negro è offensivo nel nuovo italiano politically correct – dice Pasquali – sempre più attento alla forma e sempre meno alla sostanza. Oggi si dice nero, oppure “di colore”; termini che lavano la coscienza di tanti popoli europei ex colonialisti pieni zeppi di vecchi sensi di colpa e di nuove frustrazioni, ma soprattutto pieni di paura impotente di fronte a un cambiamento epocale: masse enormi di uomini, donne e bambini si muovono come mai prima d’ora abbandonando le aree povere del Pianeta e spostandosi verso quelle “ricche”. Invadendole, dicono in molti. Siamo di fronte a una migrazione senza precedenti. E l’Europa ha paura. Un’Europa già travolta da mille problemi proprio quando si credeva a un punto d’arrivo stabile e che invece oggi si trova a dover fare i conti con otto anni di crisi che hanno stravolto dinamiche economiche credute immutabili, con il terrorismo e il suo business inquietante e con l’inasprirsi di conflitti ideologici interni che sembravano sepolti nella storia. L’arrivo dei “negri” fa paura. Ed è inutile nascondersi dietro al politically correct: in molti chiamano così le migliaia di facce scure che sbarcano a Lampedusa e poi salgono verso nord riempiendo metropoli, città, paesi. Tanti di questi nuovi arrivati delinquono, tantissimi si trovano ad accettare lavori che i “bianchi” non vogliono più fare. In ogni caso sono qui, e continuano ad arrivare. Flussi costanti scanditi da tragedie che macchiano di sangue le acque del Mediterraneo e aprono qualche piccolo squarcio (troppo piccolo) sul peggior traffico di esseri umani che la storia abbia mai registrato dai tempi dello schiavismo. L’Italia è in prima linea e soffre più della quasi totalità degli altri Paesi europei, benché alla fine si ritrovi con un numero largamente inferiore di immigrati stanziali. Il primo impatto è perlopiù italiano. Ma quel traffico di esseri umani inizia in Africa, inizia appena fuori (quando non già all’interno) dei tanti campi profughi sparsi in terre lontane, problematiche, povere. E sconosciute. Parte da lì il viaggio della speranza di migliaia di uomini. E quando un uomo decide di mettere a repentaglio la sua vita e quella della sua famiglia per affrontare un’odissea il cui esito spesso è la morte, vale la pena capire perché lo fa. Capire da dove fugge. E capire significa vedere».

«La mostra fotografica “Negri” – prosegue il reporter – è uno spaccato di quello che ho visto nella regione del Tigray, Etiopia del nord, al confine con l’Eritrea che oggi, sotto la presidenza di Isaias Afewerki, è considerata (a ragione o a torto) una delle più dittature più dure e sanguinose del mondo. Il dato di fatto è che dall’Eritrea fuggono a migliaia e arrivano in Etiopia: un Paese tra i più poveri del mondo ma che, con grande fatica, sta tentando di dare un futuro ai suoi giovani. E lo fa investendo nelle università e nella sanità. Il mio reportage si è sviluppato tra Addis Abeba, caotica capitale etiopica, a Mekele, capitale del Tigrai; poi da lì ad Adigrat e su fino a Zalambessa, a un tiro di schioppo dal confine eritreo segnato da uno spago al quale erano appese bottiglie di plastica vuote e presidiato da militari armati. Lì, a Zalambessa, la devastazione della guerra tra Etiopia ed Eritrea (che ha portato all’indipendenza di quest’ultima nel 1993) è ancora drammaticamente evidente. Da Zalambessa mi sono spostato a Shirè attraversando cave di pietra dove lavorano per pochi birr al giorno perlopiù donne e ragazzini, fino ad arrivare a Sheraro, meta ultima del mio viaggio. A Sheraro è stato costruito e inaugurato nella primavera del 2014 il Maiani Hospital grazie alla generosità di un benefattore italiano, il veterinario toscano Mario Maiani, grazie al lavoro della onlus italiana IISMAS e grazie all’impegno del professor Aldo Morrone, medico dermatologo che da una vita mette la sua competenza a disposizione di popolazioni che vivono problematiche sanitarie sconosciute ai Paesi sviluppati. Le immagini “raccontano” quelle popolazioni, quella terra, quell’impegno». (Ufficio stampa Blacklemon)

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