Le due gomme

E’ il tardo pomeriggio del giorno di Natale quando butto sci e scarponi nel baule e parto per Temù. Siamo solo io e la Ceci. Mai successa prima una cosa così: solo io e mia figlia tipo fidanzati. Abbiamo addosso quel mix strano di eccitazione e pace dei sensi che è la cosa che più mi fa impazzire delle partenze. Due ore e mezza e dovremmo essere nella nostra meravigliosa casetta camuna che i vicini c’hanno scaldato il giorno prima. Il programma è già fissato: pizza alla Lanterna, nella piazza del paese, e Alvin Superstar2 guardato fino alla fine (l’ho promesso) dalle pieghe della copertona di lana cucita da mia nonna Ginetta nel secolo scorso. Prendo la Piacenza-Brescia e come ogni volta mi fermo all’Autogrill di Cremona, che è grande, e faccio scorta di porcate da mangiare, latte, birre, sigari e dvd: cartoni per la prima serata mentre per la seconda dei gran filmacci americani scelti in base al numero di morti ammazzati nei primi venti minuti (se non supera la decina non guardo neanche il titolo).

Lungo il lago d’Iseo è una galleria dopo l’altra, e prima che facessero la superstrada era anche peggio: eri capace di dover guardare il culo dello stesso camion da Brescia alla vetta dell’Adamello. La ceci s’è fatta un’oretta di sonno mentre io passavo da David Bowie a quel burino di Satriani sognando uscite di eliski da malati di mente e masticando un toscano spento.

 

Ho appena passato Boario quando all’uscita di un tunnel vedo qualcosa in mezzo alla strada, una grossa pietra, un pezzo di asfalto, non so… E’ questione di un secondo: dall’altra parte arrivano macchine, sterzo un po’ ma non basta. La botta è tremenda, come essere finiti su una mina, la gomma anteriore destra esplode. Freno ma in un attimo sono già nella galleria successiva, quindi non posso fermarmi. E’ una galleria eterna e dietro ho i vacanzieri incolonnati che mi respirano sul collo. La Ceci, povera bionda, fa una risatina confusa, forse si aspetta che anch’io ci rida su ma in questo momento se apro la bocca escono solo cristi e madonne, e in un barlume di responsabilità educativa penso che è meglio tacere. Ma più che altro penso a come tenere in strada ‘sto dannato macchinone che viaggia su tre ruote e un cerchio. E mi sto giusto chiedendo se si starà rovinando molto il cerchio quando la bambina stacca il naso dal finestrino e, urlando per sovrastare il rumoraccio di ferraglia, mi chiede cos’è tutto quel “fuoco” che si alza illuminando il tunnel. La tranquillizzo, le dico che non è niente, che non è successo nulla di grave, che abbiamo solo bucato una gomma e che tra un attimo si sistema tutto e si ricomincia a viaggiare veloci e sereni ascoltando Bruce Springsteen a volumi da stadio.

 

Non so quanti chilometri faccio prima di trovare uno slargo dove fermarmi per cambiare la gomma, ma alla fine lo trovo. Proprio lì di fianco c’è lo sbocco di un tunnel buio e inutilizzato che passa sotto alla ferrovia e ci sputa addosso un freddo della malora. Faccio scendere la piccola Ceci mentre piazzo il crick sotto al pianale dell’auto (la ruota fa impressione, sembra uno straccio di tessuto frusto e logoro). Da dove siamo non si vedono né montagne né lago né luci di paesi, niente: è un angolo agghiacciante, sembra il set di Arancia Meccanica e la bambina ha il muso spaesato. Morale, è ora di iniziare lo show: ridacchio, sparo vaccate a raffica, le chiedo delle sue beghe con le compagne di scuola e la coinvolgo facendole reggere la torcia a dinamo della Decathlon che se dipendesse da me sarebbe eletta prodotto del secolo. Le si stanno congelando le manine, dice, e io tento di fare più in fretta che posso con quel crick. Adesso il toscano è acceso. Ogni tanto le alito nelle muffole, le dico di sbattere i piedi a terra. L’auto è sollevata, non mi resta che prendere la ruota di scorta, montarla e ripartire. “Tra un attimo ci rimettiamo in viaggio, Ceci”.

 

La ruota di scorta è buca. La ruota di scorta è buca? La ruota di scorta è inequivocabilmente buca.

 

Un chiodo enorme, gigantesto è piantato nella scanalatura del battistrada, sembra Excalibur. Solo i miei coglioni sono più sgonfi di questa fottutissima, stramaledetta gomma. Con una fitta nella parte centrale della fronte, che per un attimo scambio per un ictus, mi torna in mente di colpo il ricordo di mia moglie Francesca che un mese fa al telefono mi spiegava di aver bucato in un qualche comune della provincia e di essersi fatta aiutare da un ragazzo molto gentile che aveva un’officina nella zona. Quindi lo sapevo, potevo saperlo, potevo evitare di trovarmi nella situazione in cui sono ora.

 

Invece sono qui nel mezzo del nulla, alle nove della sera di Natale, la bimba con lo stomaco che fa rumori inquietanti, io con le mani sporche di ghiaccio nero e due – dico due! – gomme a terra. Pazzesco. La fame nel mondo, i terroristi, il buco nell’ozono, la peste: tutti problemucci rispetto alla mia tragedia, al mio disagio cosmico.

 

Rinsavisco ma devo comunque prendermela con qualcuno: telefono a mia moglie e la insulto per avermi lasciato la ruota di scorta buca (pur sapendo che in realtà è colpa mia perché lo sapevo già e potevo sostituirla), sparo due cazzate alla Ceci fingendo buon umore, monto la gomma meno buca e parto alla viva il parroco.

Dieci minuti dopo sono già sul cerchione: la mia auto fa più casino di un cingolato dell’Armata rossa, le scintille illuminano a giorno la vallata, la marcia è lenta e il futuro è incerto.

 

Arriviamo a Esine in condizioni pietose. Sono rimbecillito dal frastuono. Mi volto per chiedere a mia figlia come va e la vedo con le manine sulle orecchie e gli occhi strizzati.

 

-“Ecco una pizzeria, patata”

-“Siiiiiii!”

 

Il resto è il lieto fine. Mangiamo, ci scaldiamo, la Ceci disegna e io inizio a telefonare a destra e a manca. Sono le dieci di sera del 25 dicembre e di telefonate devo farne parecchie prima di scoprire i mitici fratelli Sandrini di Temù (che ora sono il mio punto di riferimento per ogni guaio meccanico, e non solo): hanno il carro attrezzi e dicono che mi vengono a prendere anche se è tardi. Sono una sessantina di chilometri, impiegano il tempo che devono impiegare ma alla fine – vivaddio – arrivano. Morale, siamo a casa a Temù che ormai è mezzanotte. Niente Alvin Superstar, naturalmente, ma la nostra mansardina è calda e siamo contenti. Il giorno dopo ho già la macchina con quattro gomme termiche nuove di pacca e si va a sciare.

 

Sono stati tre giorni di sole e neve.

(Andrea Pasquali, gennaio 2012)

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